Carmen come icona della seduzione, emblema del dionisiaco, assimilabile solo al Don Giovanni per il rivoluzionario senso di libertà che porta in scena.
Carmen, con il suo accettare la propria morte, accetta la propria finitezza e la rende orizzonte di vita. Il suo è un coraggio a-morale, ancestrale e terreno, un coraggio fisico che nasce dalla consapevolezza d’essere fatta di carne, pulsioni e istinto.

La chiave di lettura di Carmen Duo segue questa linea: trasforma in energia pura il personaggio, lo fa emblema di una rivoluzione costante e la rende simbolo di una determinatezza esistenziale.

Un attore e una danzatrice, un uomo e una donna, Don Jose e Carmen, divengono portatori in scena di due identità contrapposte: virile, forte e disperata quella di lui, vitale, sensuale e coraggiosa quella di lei. Si corteggiano, si amano, si possiedono, si abbandonano alla competizione dell’ego, della supremazia dell’uno sull’altro, schiavi di un istinto primordiale, che li porta a fronteggiarsi fino a travolgersi, fino alla follia cieca che cancella qualsiasi possibilità di salvezza.

Un percorso che è ritmico ed emotivo al tempo stesso, senza domande ne risposte, fatto esclusivamente delle viscere dei personaggi. Emozioni vissute, esasperate, sbattute in faccia, di cui il corpo diventa non solo il contenitore ma anche il mezzo con cui i due protagonisti vivono la loro folle relazione. Non ci sono parole, se non necessarie e naturali, pochi oggetti evocativi in scena, gli unici punti fermi di una storia che resta in bilico tra la ragione della diversità e la distorsione del sentimento.

Queste due anime che si fronteggiano, sono i fantasmi di un’umanità che non riconosce più il senso del proprio vivere, lui nell’incapacità di comprendere il bisogno di libertà di lei e di accettarla nella sua interezza, lei nell’impossibilità di vivere un amore fino in fondo senza finire incatenata in un ruolo che sa non appartenerle.

E nell’inevitabile morte di Carmen continuerà a non esserci perdono ne espiazione.